domenica 30 dicembre 2007

Notturno

So intimate, this Chopin, I think his soul

Should be resurrected only among friends

Some two or three, who will not touch the bloom

That is rubbed and questioned in the concert room.





(T.S. Eliot)









Frédéric Chopin


Notturno in Sib+ Op.9/1

Piano: Franco Leon


mercoledì 5 dicembre 2007

Dis-Abilità

Mettete su un piatto della bilancia i vantaggi reali delle scienze più sublimi e delle arti più onorate e sull'altro quelli offerti dalle arti meccaniche e vi accorgerete che sono stati riveriti di più gli uomini occupati a farci credere di essere felici, che non quelli dediti a renderci felici realmente. E' davvero un bizzarro pregiudizio! Da un lato pretendiamo che lavorino utilmente e al tempo stesso disprezziamo gli uomini utili.




M. Diderot - M. D'Alembert

Encyclopédie

lunedì 19 novembre 2007

Domiziano

Tu non sei né pio né munifico;

sei soltanto preso da manìa

e godi di consumare le tue ricchezze nel costruire edifizi,

desiderando, come il famoso Mida, che ogni cosa tua divenga pietra e oro.





Plut., Poplic., XV, 7

mercoledì 24 ottobre 2007

Violet






Mark Rothko

Untitled (Violet, Black, Orange, Yellow on White and Red), 1949.

Olio su tela.

domenica 23 settembre 2007

Intendo che per raccontare bisogna innanzitutto costruirsi un mondo, il più possibile ammobiliato sino agli ultimi particolari. Se costruissi un fiume, due rive, e sulla riva sinistra ponessi un pescatore, e se a questo pescatore assegnassi un caattere iroso e una fedina penale poco pulita, ecco, potrei incominciare a scrivere, traducendo in parole quello che non può non avvenire. Che fa un pescatore? Pesca (ed ecco tutta una sequenza più o meno inevitabile di gesti). E poi cosa accade? O ci sono pesci che abboccano, o non ce ne sono. Se ci sono, il pescatore li pesca e poi va a casa tutto contento. Fine della storia. Se non ci sono, visto che è irascibile, forse si arrabbierà. Forse spezzerà la canna da pesca. Non è molto, ma è già un bozzetto. Ma c'è un proverbio indiano che dice "siediti sulla riva del fiume e aspetta, il cadavere del tuo nemico non tarderà a passare". E se lungo la corrente passasse un cadavere - visto che la possibilità è insita nell'area intertestuale del fiume? Non dimentichiamo ch eil mio pescatore ha la fedina penale sporca. Vorrà correre il rischio di trovarsi nei pasticci? Che farà? Fuggirà. fingerà di non vedere il cadavere? Si sentirà preso da coda di paglia, perché al postutto il cadavere è quello dell'uomo che odiava? Irascibile com'è, si adirerà perché non ha potuto compiere lui la vendetta agognata?  Vedete, è bastato ammobiliare con poco il proprio mondo, e già c'è l'inizio di una storia. C'è anche già l'inizio di uno stile, perché un pescatore che pesca dovrebe impormi un ritmo narrativo lento, fluviale, scandito sulla sua attesta che dovrebbe essere paziente, ma anche sui sussulti della sua impaziente iracondia. Rem tene, verba sequentur. Il contrario di quanto, credo, avviene con la poesia: verba tene, res sequentur.

(...)

E' il mondo costruito che ci dirà come la storia deve poi andare avanti. (...) E non si pensi che questa è una posizione "idealistica", come chi dicesse che i personaggi hanno una vita loro e l'autore, come in trance, li fa agire per quello che essi gli suggeriscono. Sciocchezze da tema della maturità. E' che i personaggi sono costretti ad agire secondo le leggi del mondo in cui vivono. Ovvero, il narratore è prigioniero delle proprio premesse.



                                                                                                                                                                              Umberto Eco

sabato 15 settembre 2007

                Sarebbe stato meraviglioso incrociarla all'angolo di una di quelle ripide stradine della città vecchia, dove tutte le case erano in realtà delle botteghe.




Georges Simenon

Il clan dei Mahé

Con passione

Tu, o Compassione, sei la sola virtù! tutte le altre sono virtù usuraje!




Ugo Foscolo

Le ultime lettere di Jacopo Ortis

Informazione e significato

Se il bollettino meteorologico in data 4 agosto mi comunica: "Domani non nevicherà", l'informazione che ne ricevo è molto scarsa, perchè si tratta di un dato talmente scontato che la quantità delle cose che io so e le mie capacità di predizione degli eventi di domani non ne rimane aumentata. Ma se il 4 agosto il bollettino meteorologico mi comunica: "Domani 5 agosto nevicherà", allora io ricevo una notevole quantità di informazione, data l'improbabilità del fatto annunciatomi.





Umberto Eco

Opera aperta

Lorenzo

Né mi stancherò di scriverti; tutt'altro conforto è perduto;

né tu, mio Lorenzo, ti stancherai di leggere queste carte

ch'io senza vanità, senza studio e senza rossore ti ho sempre scritto ne' sommi piaceri e ne' sommi dolori dell'anima mia.

Serbale.

Presento che un dì ti saranno necessarie per vivere, almeno come potrai,

col tuo Jacopo.





Ugo Foscolo

Le ultime lettere di Jacopo Ortis

Hyères

    Sdraiato sul fianco destro, evocava, nell'ordine, un certo numero di immagini, poi si addormentava. Ma di solito il sogno non arrivava e, al mattino, lui si svegliava deluso. Altre volte, però, il sogno cominciava a delinearsi, e lui, sentendolo arrivare, lo aiutava con tutto se stesso, si svegliava di colpo e vedeva davanti a sé le strisce di luce che filtravano dalle persiane.





Georges Simenon

Il Clan dei Mahé

venerdì 14 settembre 2007

sabato 18 agosto 2007

"Che fai?" gli domandai.

E lui, a sua volta, mi fece una domanda.

"Qual è la forma dell'acqua?".

"Ma l'acqua non ha forma!"

dissi ridendo: "Piglia la forma che

le viene data"

sabato 4 agosto 2007

Cerco parole consuete, per esprimer cose inconsuete;

nell'ansia dell'unicità.

E una dolce magia ricade sugli occhi miei:

tacite lacrime di malinconia.

mercoledì 18 luglio 2007

Consssonanze

Es un sentimiento nuevo, que mantiene alta mi vida,

la pasiòn en la garganta, Eros que se hace palabra.

Todas tus inhibiciones no forman parte del sexo.

Los apetitos mìticos, de cortes anaslivias,

la posesiòn, las formas de amor pre-alejandrinas.

Y por si igual que el coro de las sirenas de Ulises me encadenan.

Y es hermoso el perdese en este milagro.

Y es hermoso el perdese en este milagro.

Y los mùsculos del cuerpo, prestos al acoplamiento,

en la patria de las geishas se abandonan a su fuerza.

Todas tus inhibiciones, el placer desencadenan.

El sibarismo asiàtico, testigo dionisiaco,

La lucha pornogràfica de griegos y latinos.

Y tu cuerpo como un bàlsamo en el desierto aùn me cautiva.

Y es hermoso el perderse en este milagro.

Y es hermoso el perderse en este milagro.

Los apetitos mìticos, de cortes anaslivias,

la posesiòn, las formas de amor pre-alejandrinas.

Y por si igual que el coro de las sirenas de Ulises me encadenan.

Y es hermoso el perderse en este milagro.

Y es hermoso el perderse en este milagro.

Fortuna


R e s p i c e    p o s t    t e

H o m i n e m     t e     e s s e     m e m e n t o

sabato 14 luglio 2007

De equo

Oggi sono stato in una stazione ferroviaria e ho scoperto che la distanza che separa i due binari è di 143,5 centimetri, o di 4 piedi e 8.5 pollici. Perchè una misura tanto assurda? Ho chiesto alla mia fidanzata di appurarne la ragione, ed ecco il risultato:



Perchè all'inizio, allorché costruirono i primi vagoni ferroviari, usarono gli strumenti utilizzati per la costruzione delle carrozze.



Ma perchè tra le ruote delle carrozze c'era questa distanza? Perchè le vecchie strade erano state costruite per questa misura, e solo così le vetture potevano percorrerle.



Chi aveva deciso che le vie dovevano essere realizzate sulla base di questa misura? Qui dobbiamo riandare a un passato molto remoto: lo decisero i romani, i primi grandi costruttori di strade. Per quale ragione? I carri da guerra erano trainati da due cavalli - e mettendo una accanto all'altro gli animali di razza impiegati a quell'epoca, essi occupavano 143,5 centimetri.



Perciò la distanza fra i binari che ho visto oggi, utilizzati per il nostro modernissimo treno ad altà velocità, è stata stabilita dai romani. Quando gli emigranti andarono negli Stati Uniti a costruire ferrovie, non si domandarono nemmeno se sarebbe stato meglio modificare la larghezza, ma continuarono a seguire la misura campione. Questo ha finito per influire persino sulla costruzione dei mezzi spaziali: gli ingegneri americani ritenevano che i serbatoi di combustibile dovessero essere molto più larghi, ma erano fabbricati nello Utah e dovevano essere trasportati per ferrovia fino al centro spaziale in Florida, e le gallerie non consentivano il passaggio di ingombri superiori... Conclusione: dovettero rassegnarsi a quella che i romani avevano stabilito che fosse una misura ideale.



Vi chiederete che cosa c'entri questo con il matrimonio?




Paulo Coelho

Lo Zahir

Meta-porno

Qual è la differenza tra vedere un film pornografico e fare all'amore? La stessa che passa tra guardare una città e cercare di scoprire che cosa vi accade, frequentare i bar, inoltrarsi nelle viuzze che non sono segnate sulle guide turistiche, perdersi per ritrovare se stessi.





Paulo Coelho

Lo Zahir

giovedì 5 luglio 2007

Si vis pacem para bellum

solitudine

La parola, originariamente, era il mezzo attraverso il quale l'uomo aveva imparato imperfettamente a trasmettere i pensieri e le emozioni della sua mente. Creando suoni e combinazioni di suoni per rappresentare certi impulsi mentali, aveva sviluppato un metodo di comunicazione. Ma tale sistema era insufficiente a rappresentare tutte le delicate sfumature del pensiero umano.

(...)Tutte le sofferenze che gli uomini dovettero sopportare nella storia della Galassia, erano dovute in gran parte alla difficoltà di comunicare tra loro. Ogni essere umano visse racchiuso in completa solitudine.(...)



Per decine di migliaia d'anni, l'uomo è stato costretto a strisciare i piedi nel fango, pur possedendo una mente capace di concepire i più alti ideali.

Con tenacia, l'uomo ha cercato di spezzare le catene a cui lo costringeva la parola. La semantica, la logica simbolica, la psicoanalisi, sono stati tutti tentativi per raggiungere una migliore comprensione e aggirare l'ostacolo della parola.

Poi la psicostoriografia permise lo sviluppo della Scienza Mentale rappresentadola per mezzo di formule matematiche.

(...)

Ogni reazione ad uno stimolo, per quanto insignificante, indicava il cambiamento che si verificava nalla mente dell'altro.




Isaac Asimov

Seconda Fondazione (L'altra faccia della spirale)

domenica 1 luglio 2007

Allostorie - Giappone Nazista

Così, duemila anni dopo la nascita del nazismo, in un bar di Tokyo - da quasi cinque secoli abitata da gente alta e con gli occhi azzurri - ci sono Hans e Fritz che stanno bevendo una birra. A un certo momento, Hans guarda Fritz e gli domanda:




"Fritz, pensi che tutto sia sempre stato così?"


"Così come?" vuole sapere Fritz


"Il mondo."


"Certo che il mondo è stato sempre così: non è questo che abbiamo imparato?"


"Sicuro. Non so perchè ho fatto questo domanda idiota."




Paulo Coelho

Lo Zahir

Gra-Gra

Si sentiva solo il gracidare delle rane. A Rambaldo stava prendendo la paura che quel gracidio sovrastasse tutto, annegasse lui pure in un verde viscido cieco pulsare di branchie.



Italo Calvino

Il cavaliere inesistente

sabato 30 giugno 2007

De vulpe et uva

De vulpe et uva



Fame coacta vulpes alta in vinea

uvam adpetebat summis saliens viribus;

quam tangere ut non potuit, discedens ait:

"Nondum matura est; nolo acerbam sumere".

Qui facere quae non possunt verbis elevant,

adscribere hoc debebunt exemplum sibi.



Phaedrus

martedì 5 giugno 2007

Ortolani

Suburbio

UN PANORAMA BELLO IN OGNI STAGIONE DELL’ANNO E IN OGNI ORA DEL GIORNO,

MA DEL QUALE CHI LO SENTE SINCERAMENTE NON PARLA, SE NON È POETA, PERCHÉ

NON RIESCE MAI AD ESPRIMERE IL FASCINO CHE DA QUELLA CAMPAGNA SI SVOLGE E

DOMINA IN BREVE TUTTE LE FACOLTÀ DELLO SPIRITO.





Thomas Ashby

Nuovo Mondo

O, wonder!

How many goodly creatures are there here!

How beauteous mankind is! O brave new world

That has such people in't!


W. Shakespeare

The Tempest

martedì 29 maggio 2007

Giove Statore

"Iuppiter, tuis" inquit "iussus auibus hic in Palatio prima urbi fundamenta ieci. Arcem iam scelere emptam Sabini habent; inde huc armati superata media valle tendunt; at tu, pater deum hominumque, hinc saltem arce hostes; deme terrorem Romanis fugamque foedam siste. Hic ego tibi templum Statori Iovi, quod monumentum sit posteris tua praesenti ope seruatam urbem esse, voveo."



Haec precatus, ueluti sensisset auditas preces, "Hinc" inquit, "Romani, Iuppiter optimus maximus

resistere atque iterare pugnam iubet.
"





 Tito Livio

 Ab Urbe Condita Libri

 I, 12

giovedì 17 maggio 2007

lunedì 14 maggio 2007

domenica 13 maggio 2007

Horizon








(fa un passo indietro per osservare meglio i quadri)
. No, non sono bello, non sono per niente bello! (Stacca i quadri, li getta per terra con ira, va verso lo specchio) Sono loro che sono belli! Avevo torto! Ah, vorrei essere come loro! Non ho niente in testa, neanche un corno! Com'è brutta la mia fronte così piatta, liscia... ci vorrebbero un corno o due, così anche i miei tratti risalterebbero meglio... Chissà, forse spunteranno, e allora on mi sentirò più così umiliato, potrò andare a raggiungerli... Ma no... le corna non spuntano... (Si guarda le palpe delle mani) Le mie mani sono sudate... che schifo! Chissà se diventeranno grosse, rugose... (Si toglie la giacca, sbottona la camicia, osserva il petto allo specchio) Ho la pelle tutta flaccida. Ah, questo corpo così bianco e peloso! Come vorrei avere una pelle rubida, e quel magnifico color verde scuro... come vorrei avere un nudo decente, senza peli, come il loro! (Ascolta i barriti) Il loro canto è attraente, forse un po' rauco, ma certo attraente! Se potessi anch'io cantare così! (Cerca di imitarli) Aah! aah! Brr! No, non è così! Proviamo più forte! Aah! aah! Brr! No, non è così! Troppo debole, manca di forza, di vigore! Non riesco a barrirre! Urlo soltanto! Aah! aah! Brr!... ma gli urli non sono barriti! Come mi sento in colpa! Avrei dovuto seguirli quand'ero ancora in tempo! Troppo tardi, adesso! E' finita, sono un mostro! Sono un mostro! Non diventerò mai più un rinoceronte, mai, mai, mai!... Non posso più cambiare. Vorrei tanto, ma non posso, non posso! E non posso più sopportarmi, mi faccio schifo, ho vergogna di me stesso! (Si volta, spalle allo specchio) Come sono brutto! Guai a colui che vuole conservare la sua originalità! (Ha un brusco sussulto) E allora, tanto peggio! Mi difenderò contro tutti! La mia carabina, la mia carabina! (Si volta verso la parete del fondo dove si vedono le teste di rinoceronte. Urlando) Contro tutti quanti mi difenderò, contro tutti quanti! Sono l'ultimo uomo, e lo resterò fino alla fine! Io non mi arrendo! Non mi arrendo!




Sipario.                                                                          

Eugène Ionesco













Senza titolo

Perché con occhi chiusi?

Perché con bocca che non parla?



Voglio guardarti, voglio nominarti.

Voglio fissarti e toccarti:



Mio sentirmi che ti parlo,

Mio vedermi che ti vedo



Dirti - sei questa cosa hai questo nome.

Al canto che tace non credo.



Così in me ti distruggo.

Non sarò, tu sarai:



Ti inseguo e ti sfuggo,

Bella vita che te ne vai.



                             
Giovanni Giudici



giovedì 3 maggio 2007

Temporale



Un bubbolio lontano
...



Rosseggia l'orizzonte,

come affocato, a mare;

nero di
pece
, a monte,

stracci di nubi chiare;

tra il nero un casolare:

un'ala di gabbiano



                      
Temporale      Giovanni Pascoli

mercoledì 2 maggio 2007

Orfeo ed Euridice

Inde per inmensum croceo velatus amictu

aethera digreditur Ciconumque Hymenaeus ad oras

tendit et Orphea nequiquam voce vocatur.

adfuit ille quidem, sed nec sollemnia verba

nec laetos vultus nec felix attulit omen.

fax quoque, quam tenuit, lacrimoso stridula fumo

usque fuit nullosque invenit motibus ignes.

exitus auspicio gravior: nam nupta per herbas

dum nova naiadum turba comitata vagatur,

occidit in talum serpentis dente recepto.

quam satis ad superas postquam Rhodopeius auras

deflevit vates, ne non temptaret et umbras,

ad Styga Taenaria est ausus descendere porta

perque leves populos simulacraque functa sepulcro

Persephonen adiit inamoenaque regna tenentem

umbrarum dominum pulsisque ad carmina nervis

sic ait: «o positi sub terra numina mundi,

in quem reccidimus, quicquid mortale creamur,

si licet et falsi positis ambagibus oris

vera loqui sinitis, non huc, ut opaca viderem

Tartara, descendi, nec uti villosa colubris

terna Medusaei vincirem guttura monstri:

causa viae est coniunx, in quam calcata venenum

vipera diffudit crescentesque abstulit annos.

posse pati volui nec me temptasse negabo:

vicit Amor. supera deus hic bene notus in ora est;

an sit et hic, dubito: sed et hic tamen auguror esse,

famaque si veteris non est mentita rapinae,

vos quoque iunxit Amor. per ego haec loca plena timoris,

per Chaos hoc ingens vastique silentia regni,

Eurydices, oro, properata retexite fata.

omnia debemur vobis, paulumque morati

serius aut citius sedem properamus ad unam.

tendimus huc omnes, haec est domus ultima, vosque

humani generis longissima regna tenetis.

haec quoque, cum iustos matura peregerit annos,

iuris erit vestri: pro munere poscimus usum;

quodsi fata negant veniam pro coniuge, certum est

nolle redire mihi: leto gaudete duorum.»

Talia dicentem nervosque ad verba moventem

exsangues flebant animae; nec Tantalus undam

captavit refugam, stupuitque Ixionis orbis,

nec carpsere iecur volucres, urnisque vacarunt

Belides, inque tuo sedisti, Sisyphe, saxo.

tunc primum lacrimis victarum carmine fama est

Eumenidum maduisse genas, nec regia coniunx

sustinet oranti nec, qui regit ima, negare,

Eurydicenque vocant: umbras erat illa recentes

inter et incessit passu de vulnere tardo.

hanc simul et legem Rhodopeius accipit heros,

ne flectat retro sua lumina, donec Avernas

exierit valles; aut inrita dona futura.

carpitur adclivis per muta silentia trames,

arduus, obscurus, caligine densus opaca,

nec procul afuerunt telluris margine summae:

hic, ne deficeret, metuens avidusque videndi

flexit amans oculos, et protinus illa relapsa est,

bracchiaque intendens prendique et prendere certans

nil nisi cedentes infelix arripit auras.

iamque iterum moriens non est de coniuge quicquam

questa suo (quid enim nisi se quereretur amatam?)

supremumque «vale,» quod iam vix auribus ille

acciperet, dixit revolutaque rursus eodem est.

Non aliter stupuit gemina nece coniugis Orpheus,

quam tria qui timidus, medio portante catenas,

colla canis vidit, quem non pavor ante reliquit,

quam natura prior saxo per corpus oborto,

quique in se crimen traxit voluitque videri

Olenos esse nocens, tuque, o confisa figurae,

infelix Lethaea, tuae, iunctissima quondam

pectora, nunc lapides, quos umida sustinet Ide.

orantem frustraque iterum transire volentem

portitor arcuerat: septem tamen ille diebus

squalidus in ripa Cereris sine munere sedit;

cura dolorque animi lacrimaeque alimenta fuere.

esse deos Erebi crudeles questus, in altam

se recipit Rhodopen pulsumque aquilonibus Haemum.

Tertius aequoreis inclusum Piscibus annum

finierat Titan, omnemque refugerat Orpheus

femineam Venerem, seu quod male cesserat illi,

sive fidem dederat; multas tamen ardor habebat

iungere se vati, multae doluere repulsae.

ille etiam Thracum populis fuit auctor amorem

in teneros transferre mares citraque iuventam

aetatis breve ver et primos carpere flores.






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Di lì, avvolto nel suo mantello dorato, se ne andò Imeneo

per l'etere infinito, dirigendosi verso la terra

dei Cìconi, dove la voce di Orfeo lo invocava invano.

Invano, sì, perché il dio venne, ma senza le parole di rito,

senza letizia in volto, senza presagi propizi.

Persino la fiaccola che impugnava sprigionò soltanto fumo,

provocando lacrime, e, per quanto agitata, non levò mai fiamme.

Presagio infausto di peggiore evento: la giovane sposa,

mentre tra i prati vagava in compagnia d'uno stuolo

di Naiadi, morì, morsa al tallone da un serpente.

A lungo sotto la volta del cielo la pianse il poeta

del Ròdope, ma per saggiare anche il mondo dei morti,

non esitò a scendere sino allo Stige per la porta del Tènaro:

tra folle irreali, tra fantasmi di defunti onorati, giunse

alla presenza di Persefone e del signore che regge

lo squallido regno dei morti. Intonando al canto le corde

della lira, così disse: «O dei, che vivete nel mondo degl'Inferi,

dove noi tutti, esseri mortali, dobbiamo finire,

se è lecito e consentite che dica il vero, senza i sotterfugi

di un parlare ambiguo, io qui non sono sceso per visitare

le tenebre del Tartaro o per stringere in catene le tre gole,

irte di serpenti, del mostro che discende da Medusa.

Causa del viaggio è mia moglie: una vipera, che aveva calpestato,

in corpo le iniettò un veleno, che la vita in fiore le ha reciso.

Avrei voluto poter sopportare, e non nego di aver tentato:

ha vinto Amore! Lassù, sulla terra, è un dio ben noto questo;

se lo sia anche qui, non so, ma almeno io lo spero:

se non è inventata la novella di quell'antico rapimento,

anche voi foste uniti da Amore. Per questi luoghi paurosi,

per questo immane abisso, per i silenzi di questo immenso regno,

vi prego, ritessete il destino anzitempo infranto di Euridice!

Tutto vi dobbiamo, e dopo un breve soggiorno in terra,

presto o tardi tutti precipitiamo in quest'unico luogo.

Qui tutti noi siamo diretti; questa è l'ultima dimora, e qui

sugli esseri umani il vostro dominio non avrà mai fine.

Anche Euridice sarà vostra, quando sino in fondo avrà compiuto

il tempo che gli spetta: in pegno ve la chiedo, non in dono.

Se poi per lei tale grazia mi nega il fato, questo è certo:

io non me ne andrò: della morte d'entrambi godrete!».

Mentre così si esprimeva, accompagnato dal suono della lira,

le anime esangui piangevano; Tantalo tralasciò d'afferrare

l'acqua che gli sfuggiva, la ruota d'Issìone s'arrestò stupita,

gli avvoltoi più non rosero il fegato a Tizio, deposero l'urna

le nipoti di Belo e tu, Sisifo, sedesti sul tuo macigno.

Si dice che alle Furie, commosse dal canto, per la prima volta

si bagnassero allora di lacrime le guance. Né ebbero cuore,

regina e re degli abissi, di opporre un rifiuto alla sua preghiera,

e chiamarono Euridice. Tra le ombre appena giunte si trovava,

e venne avanti con passo reso lento dalla ferita.

Orfeo del Ròdope, prendendola per mano, ricevette l'ordine

di non volgere indietro lo sguardo, finché non fosse uscito

dalle valli dell'Averno; vano, se no, sarebbe stato il dono.

In un silenzio di tomba s'inerpicano su per un sentiero

scosceso, buio, immerso in una nebbia impenetrabile.

E ormai non erano lontani dalla superficie della terra,

quando, nel timore che lei non lo seguisse, ansioso di guardarla,

l'innamorato Orfeo si volse: sùbito lei svanì nell'Averno;

cercò, sì, tendendo le braccia, d'afferrarlo ed essere afferrata,

ma null'altro strinse, ahimè, che l'aria sfuggente.

Morendo di nuovo non ebbe per Orfeo parole di rimprovero

(di cosa avrebbe dovuto lamentarsi, se non d'essere amata?);

per l'ultima volta gli disse 'addio', un addio che alle sue orecchie

giunse appena, e ripiombò nell'abisso dal quale saliva.

Rimase impietrito Orfeo per la doppia morte della moglie,

così come colui che fu terrorizzato nel vedere Cerbero

con la testa di mezzo incatenata, e il cui terrore non cessò

finché dall'avita natura il suo corpo non fu mutato in pietra;

o come Oleno che si addossò la colpa e volle

passare per reo; o te, sventurata Letea, troppo innamorata

della tua bellezza: cuori indivisi un tempo nell'amore,

ora soltanto rocce che si ergono tra i ruscelli dell'Ida.

Invano Orfeo scongiurò Caronte di traghettarlo un'altra volta:

il nocchiero lo scacciò. Per sette giorni rimase lì

accasciato sulla riva, senza toccare alcun dono di Cerere:

dolore, angoscia e lacrime furono il suo unico cibo.

Poi, dopo aver maledetto la crudeltà dei numi dell'Averno,

si ritirò sull'alto Ròdope e sull'Emo battuto dai venti.

Per tre volte il Sole aveva concluso l'anno, finendo nel segno

acquatico dei Pesci, e per tutto questo tempo Orfeo non aveva

amato altre donne, forse per il dolore provato, forse

per averne fatto voto. Eppure molte erano le donne ansiose

d'unirsi al poeta, ma altrettante piansero d'essere respinte.

Gli uomini della Tracia poi ne trassero pretesto per stornare

l'amore verso i fanciulli, cogliendo i primi fiori

di quella breve primavera della vita che è l'adolescenza.

Silence

Words like violence

Break the silence

Come crashing in

Into my little world

Painful to me

Pierce right through me

Can't you understand

Oh my little girl





All I ever wanted

All I ever needed

Is here in my arms

Words are very unnecessary

They can only do harm




Vows are spoken

To be broken

Feelings are intense

Words are trivial

Pleasures remain

So does the pain

Words are meaningless

And forgettable





All I ever wanted

All I ever needed

Is here in my arms

Words are very unnecessary

They can only do harm



Depeche Mode

Enjoy the Silence

domenica 29 aprile 2007

Romeo

I am too sore enpierced with his shaft

To soar with his light feathers, and so bound

I cannot bound a pitch above dull woe.

Under love's heavy burden do I sink.




W. Shakespeare

Romeo and Juliet

sabato 28 aprile 2007

Per ordine di S.E. Ministro dell'Istruzione (...) tutta la fronte dei giardini farnesiani è stata abbattuta.
Ma io credo ancora che l'uomo riesca a risolvere i problemi che si pone, se agisce razionalmente, se studia e se lavora per una migliore condizione di vita.



Vi è una certa miseria in coloro che non riescono ad accettare altro che non sia il già dato, in uno storicismo ossessivo che impedisce ogni mossa.

martedì 3 aprile 2007

Mi sarei per caso imbattuto in un uomo senza ambizione? Perbacco! sarebbe una disgrazia.





Il Conte di Montecristo


E' proprio degli spiriti deboli vedere tutte le cose attraverso un velo nero:

è l'anima che crea a se stessa i propri orizzonti:

la vostra anima è triste e vi fa vedere un cielo tempestoso.






Il Conte di Montecristo

mercoledì 28 marzo 2007

L'Antica Pittura Mai Nata

Tutte quelle case

il grigio

buio.



Sfocatissimo

eppure nitido

ma tanto sfocato.



Il rumore della pioggia

il tuo respiro

lì che guardi

pensi.




Il calore di un corpo.



Condensa


sul vetro

freddo.



L'aria che esce dalla bocca o dal naso.



Calda.



Guardo giù.


(e sorridi)



Tu mi fai sorridere

ma se guardo giù



(
se guardi giù?)



un po' di malinconia.

venerdì 23 marzo 2007



  • I due girovaghi





    Siamo soli. Bianca l'aria

    vola come in un mulino.

    Nella terra solitaria

    siamo in due, sempre in cammino.

    Soli i miei, soli i tuoi stracci

    per le vie. Non altro suono

    che due gridi:

    —Oggi ci sono

    e doman me ne vo . . .

    —Stacci!

    stacci! stacci!


    Io di qua, battendo i denti,

    tu di là, pestando i piedi:

    non ti vedo, e tu mi senti;

    io ti sento, e non mi vedi.

    Noi gettiamo i nostri urlacci,

    come cani in abbandono

    fuor dell'uscio:

    —Oggi ci sono

    e doman me ne vo . . .

    —Stacci!

    stacci! stacci!


    Questa terra ha certe porte,

    che ci s'entra e non se n'esce.

    È il castello della morte.

    S'ode qui l'erba che cresce:

    crescer l'erba e i rosolacci

    qui, di notte, al tempo buono:

    ma nient'altro. . .

    —Oggi ci sono

    e doman me ne vo. . .

    —Stacci!

    stacci! stacci!


    C'incontriamo . . . Io ti derido?!

    No, compagno nello stento!

    No, fratello! È un vano grido

    che gettiamo al freddo vento.

    Nè c'è un viso che s'affacci

    per dire, Eh! spazzacamino! . . .

    per dire, Oh! quel vecchiettino

    degli stacci

    degli stacci! . . .

    —stacci! stacci!




G. Pascoli

martedì 6 marzo 2007

Sergej Vasil'evič Rahmaninov (1873-1943)

C
oncerto per pianoforte e orchestra n. 3
in Re minore op. 30 III mov. Finale: Alla breve

Berliner Philarmoniker

Pianoforte - Martha Argerich



sabato 10 febbraio 2007

L'inverno con la mia generazione

le donne curve sui telai vicine alle finestre;

un giorno sulla prospettiva Nevski per caso vi incontrai Igor Stravinsky;

e gli orinali messi sotto i letti per la notte

e un film di Ejzenstejn sulla rivoluzione.

E studiavamo chiusi in una stanza

la luce fioca di candele e lampade a petrolio

e quando si trattava di parlare aspettavamo sempre con piacere;

e il mio maestro mi insegnò com'è difficile trovare

l'alba dentro l'imbrunire.

mercoledì 7 febbraio 2007

Solo un mano d'angelo 
intatta di sè, del suo amore per sè,
potrebbe
offrirmi la concavità del suo palmo
perché vi riversi il mio pianto.
La mano dell'uomo vivente
è troppo impigliata nei fili dell'oggi e dell'ieri,
è troppo ricolma di vita e di plasma di vita!
Non potrà mai la mano dell'uomo mondarsi
per il tranquillo pianto del proprio fratello!
E dunque, soltanto una mano di angelo bianco
dalle lontane radici nutrite d'eterno e d'immenso
potrebbe filtrare serena le confessioni dell'uomo
senza vibrarne sul fondo in un cenno di viva ripulsa.

Alda Merini


mercoledì 31 gennaio 2007

In generale, Monsieur de Villefort faceva o rendeva raramente visite, delegando ciò a sua moglie, cosa ammessa in quella società dove si teneva conto delle gravi e numerose occupazioni del magistrato, ma che in realtà era puramente un calcolo di orgoglio, una quintessenza di aristocrazia, l'applicazione infine di quell'assioma: "Mostra di stimarti e sarai stimato", assioma mille volte più utile nella nostra società di quello dei greci: "Conosci te stesso", sostituito ai nostri giorni dall'arte meno difficile e più vantaggiosa del conoscere gli altri.

sabato 13 gennaio 2007

L'universo si controbilancia. Le nazioni si divorano perché una non potrebbe sussistere senza i cadaveri dell'altra. Io guardando da queste Alpi l'Italia piango e fremo, e invoco contro agl'invasori vendetta; ma la mia voce si perde tra il fremito ancora vivo di tanti popoli trapassati, quando i Romani rapivano il mondo, cercavano oltre a' mari e a' deserti nuovi imperi da devastare, manomettevano gl'Iddii de' vinti, incatenevano principi e popoli liberissimi, finché non trovando più dove insanguinare i lor ferri, li ritorceano contro le proprie viscere. Così gli Israeliti trucidavano i pacifici abitatori di Canaan, e i Babilonesi poi strascinarono nella schiavitù i sacerdoti, le madri, e i figliuoli del popolo di Giuda. Così Alessandro rovesciò l'impero di Babilonia, e dopo avere passando arsa gran parte della terra, si corrucciava che non vi fosse un altro universo. Così gli Spartani tre volte smantellarono Messene e tre volte cacciarono dalla Grecia i Messeni che pur Greci erano della stessa religione e nipoti de' medesimi antenati. Così sbranavansi gli antichi Italiani finché furono ingojati dalla fortuna di Roma. Ma in pochissimi secoli la regina del mondo divenne preda de' Cesari, de' Neroni, de' Costantini, de' Vandali, e de' Papi. Oh quanto fumo di umani roghi ingombrò il Cielo della America, oh quanto sangue d'innumerabili popoli che né timore né invidia recavano agli Europei, fu dall'Oceano portato a contaminare d'infamia le nostre spiagge! ma quel sangue sarà un dì vendicato e si rovescierà su i figli degli Europei! Tutte le nazioni hanno le loro età. Oggi sono tiranne per maturare la propria schiavitù di domani: e quei che pagavano dianzi vilmente il tributo, lo imporranno un giorno col ferro e col fuoco. La Terra è una foresta di belve.




U. Foscolo

Le ultime lettere di Jacopo Ortis

La Ragione? - è come 'l vento; ammorza le faci, ed anima gl'incendi.





U. Foscolo

Le ultime lettere di Jacopo Ortis

lunedì 8 gennaio 2007

[Il vecchio] era finalmente riuscito a stanare il suo grongo dal buco: una bestiaccia nera e appiccicosa, grossa quasi quanto un braccio, e che adesso si torceva sulle pietre un po' sconnesse del molo. Il vecchio gli diede il colpo di grazia e, tutto tronfio, se lo portò via a forza di braccia, con la coda che strusciava per terra e ancora si contorceva. Tutto questo, chissà perchè, aveva qualcosa di osceno.

Da quel giorno, ogni volta che il dottore ripensava al molo, vedeva sempre la testa nera di un grongo che usciva prudentemente da un buco, allettato da un brandello repellente di polpo agitato all'estremità di un fil di ferro. Immaginava quella specie di lungo serpente viscido che veniva estratto con la forza dal suo alveolo, poi la testa che scricchiolava, schiacciata con una pietra.




G. Simenon

Il Clan dei Mahé








sabato 6 gennaio 2007

Voluttà



Gioia e profumo della vita mi è la memoria delle ore

in cui ho incontrato e posseduto la voluttà

come la desiderai. Gioia e profumo della vita per me

che ho sdegnato ogni piacere d'amori consueti.




K. Kavàfis

lunedì 1 gennaio 2007

Questo mio bacio accogli sulla fronte!

E, da te ora separandomi,

lascia che io ti dica

che non sbagli se pensi

che furono un sogno i miei giorni;

e, tuttavia, se la speranza volò via

in una notte o in un giorno,

in una visione o in nient'altro,

è forse per questo meno svanita?

Tutto quello che vediamo, quel che sembriamo

non è che un sogno dentro un sogno.

Sto nel fragore

di un lido tormentato dalla risacca,

stringo in una mano

granelli di sabbia dorata.

Soltanto pochi! E pur come scivolano via,

per le mie dita, e ricadono sul mare!

Ed io piango - io piango!

O Dio! Non potro' trattenerli con una stretta piu' salda?

O Dio! Mai potrò salvarne

almeno uno, dall'onda spietata?

Tutto quel che vediamo, quel che sembriamo

non è che un sogno dentro un sogno?




E. A. Poe


Un sogno dentro un sogno