NESCIO
SED
FIERI
SENTIO
ET
EXCRUCIOR
Jaufré Rudel
Dal Libano trema e rosseggia
Su ‘l mare la fresca mattina:
Da Cipri avanzando veleggia
La nave crociata latina.
A poppa di febbre anelante
Sta il prence di Blaia, Rudello
E cerca co ‘l guardo natante
Di Tripoli in alto il castello.
In vista a la spiaggia asiana
Risuona la nota canzone:
“Amore di terra lontana,
Per voi tutto il core mi duol”.
Il volo d’un grigio alcione
Prosegue la dolce querela,
E sovra la candida vela
S’affligge di nuvoli il sol.
La nave ammaína, posando
Nel placido porto. Discende
Soletto e pensoso Bertrando,
La via per il colle egli prende
Velato di funebre benda
Lo scudo di Blaia ha con sé:
Affretta al castel: – Melisenda
Contessa di Tripoli ov’è?
Io vengo messaggio d’amore,
Io vengo messaggio di morte:
Messaggio vengo io del signore
Di Blaia, Giaufredo Rudel.
Notizie di voi le fur porte.
V’ amò vi cantò non veduta:
Ei viene e si muor. Vi saluta,
Signora, il poeta fedel.–
La dama guardò lo scudiero
A lungo, pensosa in sembianti:
Poi surse, adombrò d’un vel nero
La faccia con gli occhi stellanti:
– Scudier, – disse rapida – andiamo.
Ov’è che Giaufredo si muore?
Il primo al fedele richiamo
E l’ultimo motto d’amore.–
Giacea sotto un bel padiglione
Giaufredo al cospettto del mare:
In nota gentil di canzone
Levava il supreme desir.
– Signor che volesti creare
Per me questo amore lontano,
Deh fa’ che a la dolce sua mano
Commetta l’estremo respir! –
Intano co ‘l fido Bertrando
Veniva la donna invocata;
E l’ultima nota ascoltando
Pietosa risté su l’entrata:
Ma presto, con mano tremante
Il velo gittando, scoprí
La faccia; ed al misero amante
– Giaufredo, – ella disse – son qui. –
Voltossi, levossi co ‘l petto
Su i folti tappeti il signore,
E fiso al bellissimo aspettøo
Con lungo sospiro guardò.
– Son questi i begli occhi che amore
Pensando promisemi un giorno?
È questa la fronte ove intorno
Il vago mio sogno volò?–
Sí come a la notte di maggio
La luna da i nuvoli fuora
Diffonde il suo candido raggio
Su ‘l mondo che vegeta e odora,
Tal quella serena bellezza
Apparve al rapito amatore
Un’alta divina dolcezza
Stillando al morente nel cuore.
– Contessa, che è mai la vita?
È l’ombra d’un sogno fuggente.
La favola breve è finita,
Il vero immortale è l’amor.
Aprite le braccia al dolente.
Vi aspetto al novissimo bando.
Ed or, Melisenda, raccomando
A un bacio lo spirto che muor.–
La donna su ‘l pallido amante
Chinossi recandolo al seno,
Tre volte la bocca tremante
Co’l bacio d’amore baciò
E il sole dal cielo sereno
Calando ridende ne l’onda
L’effusa di lei chioma bionda
Su ‘l morto poeta irraggiò.
Giosuè Carducci
Il dipinto presentato fa parte di una grande narrazione ciclica, "Il fregio della vita" (1893-1918), un gruppo di opere, ciascuna peraltro autosufficiente nel singolo significato seppure integrata alle altre in quello complessivo, sul tema del ciclo vita, morte e amore ("Il grido", "Il bacio", "Gli occhi negli occhi", "Vampiro", "Danza della vita"), all'interno del quale esprime una tematica più volte ripresa da Munch, quella del rapporto e dell'attrazione tra uomo e donna, interpretata secondo il modulo della sua personale poetica dell'angoscia.
Difficile trovare l'amore, in questo bacio, come del resto in altri 'baci' più volte riproposti dall'artista con variazioni anche nella tecnica utilizzata (olio, matita, acquaforte, xilografia, puntasecca), difficile trovare un sentimento di tenerezza o complicità in questa coppia misteriosa, dove i volti sono nascosti nell'ombra di un abbraccio sensuale ma non gioioso, i corpi avvolti su sè stessi, indistinguibili l'uno dall'altro, avvinghiati in quella che pare più una lotta che un contatto amoroso, in preda ad una passione struggente e malinconica.
Le due figure, tema dominante dell'opera, sono nettamente decentrate, contro ogni canone compositivo tradizionale, letteralmente sospinte verso il margine destro del quadro, ad accentuare un senso di furtività che tutto l'insieme sottolinea ed esaspera: l'ambiente non è certo un contesto romantico, è un locale modesto e disadorno, quasi che l'incontro sia casuale o clandestino, oltre i vetri della finestra si intravvede una via come tante, con vetrine illuminate, qualche passante, probabilmente l'ora tende alla sera, i colori sono piuttosto scuri, le tonalità fredde, tipicamente nordiche, dietro la tenda biancastra le forme indistinte delle due figure avvinte sfumano dal blu al nero verso una zona d'ombra assoluta che si perde oltre il limite della tela.
La perdita di identità che consegue all'impossibilità di distinguere separatamente le due figure strettamente abbracciate esprime sia l'essenza dell'amore, la con-fusione di due corpi, oltre che di due anime, sia il turbamento dei sensi, vissuto come una minacciosa possibilità di perdizione, in senso morale ma anche letterale.
Il rapporto tra uomo e donna si configura così come una tensione bipolare tra desiderio di amore e paura di amare, un rapporto ambiguo espresso dalla fusione fisica tra i due protagonisti non già sull'onda di uno slancio passionale, ma di un reciproco tentativo di annullamento ed assimiliazione (o dissoluzione): solo così Munch può trasferire in un tema ad alto contenuto emotivo, che presuppone uno stretto rapporto interpersonale a lui sempre negato, il doloroso senso di solitudine non solo psicologica o metaforica, ma tragicamente reale in un vissuto personale drammatico e traumatizzante.
Abbandonata la sinuosa eleganza della linea dell'Art Nouveau, che ritroviamo soprattutto nelle numerose acqueforti, Munch adotta un segno sommario e quasi frettoloso, sia per l'ambiente che per le figure, sotto una forte spinta espressionista che preme verso un impellente desiderio di esprimersi, con ansia, con furia, senza il filtro dell'analisi e della ragione: ma, se si tratta di Munch, "L'arte è completa quando l' artista ha detto tutto quello che doveve dire veramente.... " così scrive di lui l'amico e pittore Christian Krohg, e tutto il resto non ha importanza.
MADRE
Madre piccina, Madre benedetta, guardo il Tuo volto assorto, accigliato e mi addoloro; mi ricordo del tempo che è passato, vanamente perduto nel tormento di tenderTi le braccia mie lontane che mai hanno raggiunto il Cuore Tuo.
Madre d'amore, oh quant'io T'ho amato.
Tu non puoi ricordare, tempo è passato da quando bimbo mi dolevo di non saperTi dire il bene mio e quando, ignara, su di me chinata, avrei voluto stringerTi al mio petto per raccontarTi del segreto del mio amore che è rimasto sepolto o rimandato ad occasioni future mai più venute, perché sempre sepolte nelle brume lontane che han diviso la Tua vita dalla mia.
Oh, Madre Mia. Oggi non parlo più, non ho parole. Resta di Te soltanto il nome Santo, quel nome che ho cercato in ogni tempo, in ogni luogo, come l'incanto grande che ci innamora sempre della vita.
Quanto è dolce il ricordo del Tuo viso.
Addio Madre del mio perduto ... Paradiso!
In segreto, di notte
Io t'ho prescelto fra tutte le stelle.
E sono sveglia - fiore
attento,
fra il canto basso del fogliame.
Le nostre labbra per cercare miele,
le nostre notti lucenti sbocciate.
Alla luce gloriosa del tuo corpo il mio cuore
accende i cieli.
Tutti i miei sogni pendono al tuo oro.
Io t'ho prescelto fra tutte le stelle.
Else Lasker-Schuler
(1869-1945)
Ascolta e tieni bene a mente quello che ti dico: se tu rifiuti di avvertire il Governatore del mio desiderio di parlagli, se non vuoi portare due righe a Mercedes o avvertirla almeno che io sono qui, un giorno o l'altro ti aspetto nascosto dietro la porta, e nel momento che entri, ti spacco la testa con lo sgabello.
Sta per sorgere, il sole, e allora mi coricherò. Una notte intera è passata, un'altra, una notte della mia vita in rosa.
Gianni è già al lavoro e io mi commuovo:
ecco il segreto, dopo ogni notte buia c'è un'alba meravigliosa.
Mi ricordo la domenica mattina, avevo cinque o sei anni, mi svegliavo placida, il mio lettino era caldo. La luce entrava tutta dalla finestra, la casa era quella vecchia, dove ora niente è come prima. Mi affacciavo dal letto e sentivo mamma e papà che parlavano, in cucina, papà beveva il tè, come sempre. Sentivo tutto l'odore di quel tè. Sentivo tutto il calore di quel tè.
a me quando hanno fatto na cosa per non fumare a scuola
hanno fatto passare dei residui
o qualcosa non ricordo
ho annusato
e m'è piaciuto
retrogusto di caffè, caldo, appena uscito dalla macchinetta, ha qualcosa del ferro e qualcosa dell'acqua, è amaro, sì, il retrogusto è amaro, la goccia di latte non lascia retrogusto, si percepisce solo l'amaro, amaro, Amaro come parola non definisce il caffè, Il caffè è *** Asterischi, Dopo 5 minuti che assaporo il retrogusto del caffè, ci butto sopra il sapore secco, asprigno, altrettanto caldo
del tabacco, che lascia i suoi effluvi grigi e azzurri, Lascio che il fumo esca lentamente, poi un po' più intensamente, Chiudo gli occhi eppure lo vedo lo stesso, il fumo grigio e azzurro che va e viene va e viene va e viene un rito orgiastico in cui confluiscono labbra lingua gola naso, che giocano col fumo
e intanto il retrogusto si mescola, in una fusione perfetta, caffè + sigaretta, sì!
Lettere scritte che non hanno mai avuto senso.
Biondi guerrieri con spade d'argento.
E nella mia parte più indifesa, tu colpisci senza tregua, colpo dopo colpo, ti apri una breccia che diventa baratro, prendi ciò che resta di me e lo mescoli, poi lo getti, come se non te ne importasse niente, come se fosse rimasuglio del passato, cosa vecchia, pronta per il macero.
Un volo, ali spiegate.
Un volo lunghissimo.
Brezza che danza, volo con lei.
Dove sono i deliri?
Dov'è la follia?
Mi accarezza,
mi mostra un gesto vietato.
Non ho osato, no, non ho osato. – Io poteva abbracciarla e stringerla qui, a questo cuore. La ho veduta addormentata: il sonno le tenea chiusi que’ grandi occhi neri; ma le rose del suo sembiante si spargeano allora più vive che mai su le sue guance rugiadose. Giacea il suo bel corpo abbandonato sopra un sofà. Un braccio le sosteneva la testa e l’altro pendea mollemente. Io la ho più volte veduta a passeggiare e a danzare; mi sono sentito sin dentro l’anima e la sua arpa e la sua voce; la ho adorata pieno di spavento come se l’avessi veduta discendere dal paradiso – ma così bella come oggi, io non l’ho veduta mai, mai. Le sue vesti mi lasciavano trasparire i contorni di quelle angeliche forme; e l’anima mia le contemplava e – che posso più dirti? Tutto il furore e l’estasi dell’amore mi avevano infiammato e rapito fuor di me. Io toccava come un divoto e le sue vesti e le sue chiome odorose e il mazzetto di mammole ch’essa aveva in mezzo al suo seno – sì sì, sotto questa mano diventata sacra ho sentito palpitare il suo cuore. Io respirava gli aneliti della sua bocca socchiusa – io stava per succhiare tutta la voluttà di quelle labbra celesti – un suo bacio! E avrei benedette le lagrime che da tanto tempo bevo per lei – ma allora, allora io la ho sentita sospirare fra il sonno: mi sono arretrato, respinto quasi da una mano divina. T’ho insegnato io forse ad amare, ed a piangere? E cerchi tu un breve momento di sonno perché tu ho turbato le tue notti innocenti e tranquille? A questo pensiero me le sono prostrato davanti immobile immobile rattenendo il sospiro – e sono fuggito per non ridestarla alla vita angosciosa in cui geme. Non si querela, e questo mi strazia ancor più: ma quel suo viso sempre più mesto, e quel guardarmi con pietà, e tacere sempre al nome di Odoardo, e sospirare sua madre – ah! Il cielo non ce l’avrebbe conceduta se non dovesse anch’essa partecipare del sentimento del dolore. Eterno Iddio! Esisti tu per noi mortali? O sei tu padre snaturato verso le tue creature? So che quando hai mandato su la terra
Ugo Foscolo
Le Ultime Lettere di Jacopo Ortis
si sta proprio bene quando si sta bene
Intanto che cammino intorno tutto intorno non vedo nulla ma sento e cresce in me la voglia di vedere. Non sono ancora cieca del tutto, ancora vivo ancora vive sì sì sì è così posso ancora vedere.
Ma dove sei ora maledizione ora che stai vagando dentro la mia testa e non ne esci mai. Ottusi i sensi no ora no per favore no. I cori urlano e comincio a vedere le ombre, il nirvana si avvicina lo sento perché ci sento e ci sento tanto sì le ombre sono intorno a me e all’inizio mi fanno paura ma no non devo NON DEVO.
Ecco sì così e ancora una volta, la mia corda migliore sta suonando come le campane della chiesa come il fiore che non viene colto resta piantato come una voce opaca come un sogno di pensieri irrisolti come un desiderio implacabile che alla fine si incontra con la realtà in un orgasmo di colori.
Io non che non posso ma sì che posso perché devo e se devo lo voglio anche, lo devo volere per forza, sì è vero hai ragione tu, io lo voglio come non mai! E ora corre verso di me quell’ombra ma dove si trova esattamente non lo so non posso saperlo non la vedo bene ancora e la distanza è nulla. Qui sì! In me e fuori di me! In te! Uomo! Tu chi sei?
Irresoluta
Caparbia
Profonda
Vibrante
Iterata
Reiterata
Calma
Patetica
Femminea
Carezzevole
Balli sfrenati e canti che intonano la preghiera dell’amore universale la strada che tutti percorriamo non è la stessa ma la stessa è la destinazione abbiamo pietà e comprensione a sufficienza per ogni bivio ci incontriamo ci amiamo e svaniamo la strada è diversa sì la strada è diversa e quando balliamo e corriamo e cantiamo e ci abbracciamo e poi anche quando ci scontriamo non c’è mai una fine definitiva se non alla fine della strada la strada è lunga la strada è breve ma sì la percorri anche tu e dammi la mano forza che andiamo almeno un pezzo insieme.
OGNUNO DI NOI
CONTIENE L'INTERO UNIVERSO
E NE E' RESPONSABILE.
"Che cosa vedete?"
"Una strada del Village", risponde qualcuno.
Il pittore copre il vetro con dei fogli di carta, di modo che la strada non possa essere più vista, e con il temperino ritaglia un piccolo quadrato dalla carta.
"E se qualcuno guardasse da qui, che cosa vedrebbe?"
"La medesima strada", dice un altro degli invitati.
Il pittore ritaglia diversi quadratini dalla carta.
"Così come ogni foro di questa carta contiene la stessa strada, ognuno di noi contiene lo stesso universo", dice.
tratto da: Paulo Coelho, "Come il tutto può stare in una parte"
Lì,
mentre c'ero e non c'ero
pensavo,
e il flusso ininterrotto di pensieri si materializzava, come sempre,
in parole
ma domani... è un altro giorno, per voi che rimarrete sulla terra
per me è oggi
tutto oggi
solo oggi
La voce rispose,
lì
in linea diretta, come sempre,
quasi fosse già passata per le orecchie
e fosse già
dentro il mio cervello
oggi?
oggi è solo un altro ieri
Hic est chromatica gradatio
quae ad caelum ascendit,
solis lucem mutuarit cum radias,
et postea descendit,
fortasse precipitat
in flucto fusco.
La nostalgia è malattia dei vecchi
e io la sento ora
tutta mia
per parlare bisogna conoscere
e anche così non va bene lo stesso
bisogna conoscersi TANTO
indi la cima qua e là menando,
come fosse la lingua che parlasse,
gittò voce di fuori e disse: "Quando
mi diparti' da Circe, che sottrasse
me più d'un anno là presso a Gaeta,
prima che sì Enëa la nomasse,
né dolcezza di figlio, né la pieta
del vecchio padre, né 'l debito amore
lo qual dovea Penelopè far lieta,
vincer potero dentro a me l'ardore
ch'i' ebbi a divenir del mondo esperto
e de li vizi umani e del valore"
Inferno XXVI, 88-99
Spleen
Quand le ciel bas et lourd pèse comme un couvercle
Sur l'esprit gémissant en proie aux longs ennuis,
Et que de l'horizon embrassant tout le cercle
Il nous verse un jour noir plus triste que les nuits;
Quand la terre est changée en un cachot humide,
Où l'Espérance, comme une chauve-souris,
S'en va battant les murs de son aile timide
Et se cognant la tête à des plafonds pourris;
Quand la pluie étalant ses immenses traînées
D'une vaste prison imite les barreaux,
Et qu'un peuple muet d'infâmes araignées
Vient tendre ses filets au fond de nos cerveaux,
Des cloches tout à coup sautent avec furie
Et lancent vers le ciel un affreux hurlement,
Ainsi que des esprits errants et sans patrie
Qui se mettent à geindre opiniâtrément.
- Et de longs corbillards, sans tambours ni musique,
Défilent lentement dans mon âme; l'Espoir,
Vaincu, pleure, et l'Angoisse atroce, despotique,
Sur mon crâne incliné plante son drapeau noir.
Charles Baudelaire
Sono un cane, un cane abbandonato dal padrone in mezzo all’autostrada. Dove vado ora? Cosa faccio? Non ho più una ciotola per mangiare, non ho più l’acqua fresca, non ho più la cuccia e dormo tra i rovi. Il cibo lo trovo sotto gli alberi, dove qualche radice e qualche animaletto assolvono bene la funzione. Sballottato tra l’asfalto e l’abbandono, corro libero in prati che non ho mai visto. La libertà… che non esiste. La libertà… che non si può non amare. Passa un treno e io percepisco il senso di libertà mentre lo inseguo, correndo. Abbaio contro il treno; urlo ad un treno in corsa. Poi non ce la faccio a continuare ad inseguirlo, e neppure a guardarlo. E allora voltandomi e contorcendomi, vedo un altro cane, come me, uguale a me ma col pelo più chiaro. Gli occhi sono gli stessi: sta piangendo perché è stato abbandonato. Ci guardiamo con un pizzico di curiosità. Cosa fai? Soffri come me? E mi viene da ridere e mentre socchiudo le labbra per soffiare fuori un mezzo latrato, si riversano nella mia bocca bavosa decine di lacrime. L’altro cane mi guarda, e passa oltre, soffocando l’istinto, che gli uomini rivendicano per sé, della pietà reciproca. Mi abbandono al lato della striscia d’asfalto. Attendo. Sì. Qualcuno mi troverà! E poi, il mio padrone tornerà a prendermi!
Ma penso: ed è pure vero che questa immagine d’angelo dei cieli esista qui, in questo basso mondo, fra noi? E sospetto di essermi innamorato della creatura della mia fantasia.
E chi non avrebbe voluto amarla anche infelicemente? E dov’è l’uomo così avventuroso col quale io degnassi di cangiare questo stato lacrimevole? Ma come io posso dall’altra parte essere tanto carnefice mio per tormentarmi – or nol veggo? Nol vidi pur sempre? – senza niuna speranza?
Ugo Foscolo
Le ultime lettere di Jacopo Ortis
Folle idea di leggere un libro, stasera...
Appena gli occhi si posano sulla prima pagina,
al posto delle parole vedo la tua faccia che mi guarda coi tuoi soliti occhi dolcissimi e inevitabilmente comincio a vagare tra mille pensieri, alla ricerca della verità.
Vedo le tue mani bellissime e cerco in esse il fruscio di una carezza.
Vedo i tuoi occhi bellissimi e vi cerco dentro l'apparenza di un desiderio.
Vedo te bellissimo e cerco la fortuna, la speranza, l'amore e la felicità.
FELICITA'
C'è un'ape che se posa su un bottone de rosa: lo succhia e se ne va... Tutto sommato, la felicità è una piccola cosa.
Trilussa
Va', canzone, rapida
davanti a Lei e dille
che, nel mio cuor fedele,
gioioso ha fatto luce
un raggio, dissipando,
santo lume, le tenebre
dell'amore: paura,
diffidenza e incertezza.
Ed ecco il grande giorno!
Rimasta a lungo muta
e pavida - la senti? -
l'allegria ha cantato
come una viva allodola
nel cielo rischiarato.
Vola, canzone ingenua,
e sia la benvenuta
senza rimpianti vani
colei che infine torna.
Paul Verlaine
Va', canzone, rapida
In principio era il Mito. Il grande Iddio, che aveva poetato nelle anime degli indiani, dei greci e dei germani
e le aveva portate faticosamente a esprimersi,
continuava a ricreare incessantemente la poesia in ogni anima infantile.
Hermann Hesse
Peter Camenzind
Adesso era morto, un nuovo Siddharta s’era ridesto da quel sonno. Anch’egli sarebbe invecchiato, anch’egli un giorno sarebbe dovuto morire; Siddharta era caduco, caduca ogni forma sensibile.
Ma
oggi
egli era giovane,
era un bambino,
il nuovo Siddharta,
ed era pieno di gioia.
Hermann Hesse
Siddharta
Ciò che succede abitualmente a un individuo si ripete più spesso di quanto si creda,
perché è la sua natura a esserne la causa immediata.
Carattere, individualità, inclinazioni, tendenze, luogo d’origine, ambiente e abitudini
costituiscono un tutto dove ciascuno si muove come in un elemento, in un’atmosfera,
nella quale soltanto si sente bene e a suo agio.
da una lettera di Ottilia
Johann W. Goethe
Le affinità elettive
Quale significato aveva avuto la mia vita, a quale scopo tante gioie e tanti dolori che erano passati su di me? Perchè avevo avuto sete del vero e del bello, se ancor oggi ero assetato? Perché avevo sofferto e versato lacrime d’ira per quelle donne desiderabili, se oggi, a testa china per la vergogna, piangevo nuovamente per un amore triste? E perché il Dio incomprensibile mi aveva posto in cuore il bruciante desiderio d’amore, se la vita mi aveva destinato a essere solitario e poco amato?
Peter Camenzind
Hermann Hesse
De profundis clamavi
Imploro pietà da Te, l’unico che io ami,
dal nero abisso dove il cuore è andato a fondo.
E’ un mondo tetro, dall’orizzonte di piombo,
dove la notte risuona d’orrore e voci blasfeme.
Si libra appena, sei mesi, sole senza calore;
gli altri sei ricopron le tenebre il suolo;
è un luogo più spoglio delle terre del Polo:
non ruscelli, né bestie, né prati, né foreste!
Non c’è il tutto il mondo orrore che superi
la fredda crudeltà di questo sole algido
e dell’immensa notte al Caos paragonabile;
invidio la sorte delle bestie più ignobili
che nel sonno dei bruti possono immergersi
tanto il filo del tempo è lungo a trascorrere!
Charles Baudelaire
(da Le Fleurs du Mal)